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Mi piace la mia infanzia. Appena ci penso mi viene voglia di correre da qualche parte dove c’è qualcuno da stringere, dove posso nascondere il viso e piangere fino ad addormentarmi.

 

L’infanzia è una casa persa in una città che ha perso il suo nome, in un paese che non esiste più. È una illusione, non una città reale di oggi. Quella di oggi non ha piu niente da offrire alla mia ricerca del dolce mal di nostalgia. Il paese della mia infanzia è un paese immaginario, dove anche le cose quotidiane affascinano.

 

Però questo paese immaginario ha qualcosa di talmente vero, di talmente reale (si può toccare con le dita e sentire il velluto di carta), che nel mondo presente, pieno di allucinazioni e miraggi, è andato perso per sempre.

 

Cos’è più reale, il te nero di Ceylon con i pezzetini di mela che mi faceva mia nonna, o quello che vedo intorno a me adesso? O il sabato in biblioteca con mio padre, quando corri a casa impaziente di cominciare subito a leggere il libro appena preso?  O la mamma che butta pane alle anatre dello stagno nero, le parole inventate con mio fratello, quell’appartamento piccolo sulla 10ma linea della isola Vasiljevskij, vicino al porto del mare nordico e ghiacciato. Appartamento con i tappeti sulle pareti, il calore pazzesco del termosifone, il cane che dorme, il vino cattivo, gli amici che stanno in silenzio. Ed i nonni... in quel paese sono giovani.

 

Siamo usciti a fare una passegiata. I campi, l`erba secca d’autunno, i cani impazziti dall’apertura di spazio, gli stivali di gomma, le voci  che si sentono a distanza di chilometri.. Stiamo passeggiando così, da anni, senza aver fretta di andare da nessuna parte..